Posted by on 23 Dic, 2016 in Approfondimenti | 0 commenti

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Westworld: il logo della serie TV

La serie TV Westworld ha caratterizzato questi ultimi mesi del 2016, dando in pasto allo spettatore temi e figure che in televisione non venivano affrontati degnamente da un po’, tra cui, più di ogni altra cosa, i robot. E lo spettatore sembra aver risposto con adeguato entusiasmo.

Ma perché i robot, da sempre, ci affascinano tanto? Al di là della semplice risposta “perché ci somigliano ma non sono umani” (un po’ come accade con i primati, in cui vediamo riflessi gli albori dell’umanità), ci sono altre considerazioni da fare.

Le ha fatte per noi Claudio Magliulo, un autore che ama profondamente la fantascienza (non solo, anche la poesia) e di cui abbiamo pubblicato il bel racconto distopico “Furore” nella recente antologia Altrisogni Vol.3. Incidentalmente, Claudio è anche un giornalista e un esperto di comunicazione che lavora all’estero nel no-profit, e quindi ci fa piacere avere un punto di vista così particolare su un tema tanto caro alla sci-fi e a noi tutti.

Vi auguriamo buona lettura.

 

NO SPOILER – Perché ci intrigano le storie di robot come Westworld

 

di Claudio Magliulo

 

Westworld: Anthony Hopkins intepreta Ford, creatore del parco a tema

Westworld è stato, a detta di tanti, una delle serie tv rivelazione dell’anno. L’ottima recitazione, lo script denso e la fotografia di eccezionale qualità hanno convinto quasi tutti, a dispetto di alcuni dettagli un po’ “telefonati” (leggi: la parabola di William o la grande rivelazione dell’episodio 7, entrambi plot twist ampiamente previsti) e del solito gusto per lo splatter e il nudo gratuito, ormai marchio di fabbrica HBO.

Ma, attenzione, questa non è una recensione di Westworld, né un altro dei mille post che si sono affannati in questi mesi a produrre, confermare o refutare fan theories sulla serie.

Mi interessa di più cercare di capire perché Westworld attragga così tanto la nostra attenzione o, in altri termini, a quale bisogno risponda.

Cerchiamo di ridurre all’osso i temi chiave di Westworld. Si tratta di una storia di robot, robot che (***no spoiler***) si ribellano. Il tema del creatore, affidato alla patriarcale eppure costantemente inquietante figura di Anthony Hopkins, riveste un’importanza cruciale, così come accade per il tema della presa di coscienza: leggi Dolores e Maeve, la rottura per entrambe di cicli infiniti di sofferenza, rimozione della memoria, ritorno alla quotidiana produttività dei loro ruoli.

L’idea di partenza non pare originalissima, come hanno sostenuto alcuni apprezzati critici cinematografici (vedi il punto 4), ma i temi sottostanti sono in qualche modo senza tempo.

 

Prima di Westworld: dove nascono le storie di robot

Westworld: la Creatura di Frankestein all'origine delle storie di robot?

La Creatura di Frankestein, nell’iconica rappresentazione di Boris Karloff.

La fascinazione per le storie di robot non è certo cosa recente.

Ci siamo interessati del tema dell’automa in letteratura, teatro, cinema, musica, per decenni. Si potrebbe forse indicare nella Creatura fuoriuscita da Frankestein di Mary Shelley l’illustre progenitore del genere. A sua volta la Shelley sconta un debito acclarato verso il mito di Prometeo, il semi-dio della mitologia greca che rubò il fuoco a Efesto per darlo agli uomini e fu per questo condannato a un’eternità di tormenti.

Se quindi le storie di automi e il tema della creazione “irresponsabile” sono ormai incardinati nel nostro retroterra culturale, la fascinazione per le storie di robot ha seguito delle ondate ben identificabili.

Andando a ritroso, prima di Westworld abbiamo l’inquietante Ava di Ex Machina (2014); il robot artista di Io, Robot (2004); l’interminabile sequela di androidi assassini e/o guardiani dei tanti (troppi) Terminator (1984); naturalmente i Replicanti di Blade Runner (1982) e ancor più ovviamente il glaciale cowboy-robot Yul Brinner de Il mondo dei robot (1973), ovvero Westworld, film progenitore della serie TV. Per tacere, poi, delle tante intelligenze artificiali che si trasformano in logici e freddi sterminatori, da 2001: Odissea nello spazio (1968) a Trascendence (2014).

Tutti questi film hanno in comune con l’odierno Westworld almeno due temi centrali:

  1. la rivolta delle creature ai propri creatori;
  2. la tracotanza (hybris) del creatore che crede di poter controllare la propria creatura e ne viene sopraffatto.
Westworld: Ava, il robot protagonista del film Ex Machina

Ava, il robot protagonista del film Ex Machina (2013).

Se prestiamo attenzione alle date, possiamo notare l’emergere di un trend.

Per primo viene Kubrick, come sempre un visionario, già nel 1968, l’anno della protesta giovanile e degli scioperi operai ad oltranza in tutta Europa. Ma anche l’anno in cui l’opinione pubblica americana si rivolta contro la guerra in Vietnam e l’uso di giovani americani come corpi  di cui disporre in nome della supremazia geopolitica.

Poi, negli anni ’80 di Reagan e della Thatcher (in Italia, diremmo gli anni di Craxi e della Milano da bere), ecco che Rutger Hauer e Arnold Schwarzenegger riscrivono il tema di Frankestein in chiave post-fordista. Nel caso di Blade Runner il tema dell’identità è tanto forte quanto lo è quello dello schiavo che rompe le proprie catene. In Terminator il problema principale è la tracotanza dei creatori di Skynet, che annienta l’umanità nel futuro e poi viaggia nel tempo per finire il lavoro.

Westworld: Roy Batty, l'androide di Blade Runner interpretato da Rutger Hauer

Rutger Hauer è l’androide Roy Batty in Blade Runner (1982).

Infine, tra i primi anni 2000 del trionfo della globalizzazione e gli anni ’10 in cui quella globalizzazione ha rivelato il suo lato più oscuro ed espropriante tramite crisi finanziaria, bail-outs di grande banche e disoccupazione galoppante, ecco un’altra lunga ondata di storie di robot. Sono anche gli anni in cui l’emergere dei social network offusca la linea di demarcazione tra tempo di lavoro e tempo privato, trasformandoci un po’ tutti in produttori di contenuti ventiquattr’ore su ventiquattro.

 

Letteratura come esorcismo e il problema della lotta di classe

Ma chi sono questi robot che noi creiamo e che sembrano non fare altro che ribellarsi al nostro volere?

Prima di rispondere a questa domanda, bisogna che ci interroghiamo brevemente su quello che potremmo chiamare “il ruolo della letteratura come esorcismo” e sulla figura del mostro nella storia culturale.

Non è questa la sede per una completa disamina del tema, naturalmente. Ci basterà considerare la seguente proposizione, e darla per dimostrata: il nostro immaginario culturale trabocca mostri e sembra utilizzarli, in modi che variano al variare delle circostanze storiche e socio-politiche, per incarnare dei dilemmi con cui la società si sta confrontando in quel preciso momento storico.

La Creatura di Mary Shelley è una reprise del tema della hybris creatrice. Questo tema, per inciso, era già molto presente nel teatro greco, quando la cultura occidentale iniziò a confrontarsi con la sua nuova abilità di modificare il mondo naturale a immagine e somiglianza dell’uomo (vedi Protagora, secondo il quale l’uomo è la misura di tutte le cose). Frankestein viene scritto, leggenda vuole, durante un soggiorno sul lago nel famigerato Anno senza Estate, il 1816. Siamo negli anni in cui il trionfo dell’Illuminismo e la conferma della potenza della tecnica hanno già mostrato il loro volto terribile: la ghigliottina rende le esecuzioni capitali uno spettacolo di vendetta popolare e insieme la celebrazione massima dell’ingegno umano. Come il terremoto di Lisbona del 1755 mise per sempre in ginocchio l’idea di una Provvidenza benevola, così l’Anno senza Estate sembrò la testimonianza atmosferica della rottura di un equilibrio, quello naturale, ad opera dell’ingegno umano.

Westworld: locandina anni '30 di R.U.R., opera teatrale di Karel Capek

Locandina degli anni ’30 di R.U.R., opera teatrale di Karel Čapek.

Andiamo avanti veloce fino al 1920. Al Teatro Nazionale di Praga viene messa in scena l’opera in tre atti di un visionario scrittore e drammaturgo ceco, Karel Čapek. L’opera si chiama R.U.R. (Rossum’s Universal Robots) e per la prima volta compare la parola “robot”, derivato dal ceco robota, lavoro. I personaggi dell’opera non sono robot in senso stretto, più un incrocio tra cloni e replicanti, ma la loro ribellione contro un’umanità divenuta avida e indolente è una dura critica della civiltà industriale. Con quest’opera Čapek mette a punto un topos letterario istantaneo con il quale gli autori di science-fiction si confronteranno poi per quasi un secolo.

Nel suo libro Il corpo virtuale, Antonio Caronia scrive che la ribellione dei robot di Čapek, “acquista […] un carattere sociale, oltreché filosofico e antropologico: non è più solo la ribellione della creatura contro il creatore, ma anche quella dello schiavo contro il padrone”.

Insomma, il robot è qui, banalmente, l’operaio-macchina, il protagonista de La classe operaia va in paradiso, l’ingranaggio nel gigantesco meccanismo dell’industria fordista.

Westworld: Lunch atop a skyscraper, in versione robot

Una delle foto di operai più nota al mondo, “Lunch atop a skyscraper”, in versione robotica.

Passa qualche decennio ed ecco Asimov, celebrato (e a ragione) padre della sci-fi moderna, il quale nel corso della sua lunga e prolifica carriera tenta una gigantesca operazione di anestetizzazione della figura del robot, in un’ottica prettamente progressista e positivista. La tecnologia è positiva, purché adeguatamente imbrigliata secondo i dettami della ragione. La normatività di Asimov è evidente nella sua formulazione più famosa, quella delle Tre Leggi. Se presa di coscienza c’è, è solo al fine di proteggere meglio e più a lungo l’umanità, come si legge ne I robot e l’Impero con lo sviluppo della Legge Zero da parte di Giskard e Daneel Olivaw. La rivolta delle macchine è illogica.

 

Noi, robot e la società post-fordista

Ironicamente, sarà proprio un film liberamente ispirato ai racconti di Asimov, Io, robot a riportare in auge il tema della rivolta delle macchine. In Io, Robot, gli androidi creati dal visionario inventore (un uomo che somiglia moltissimo a Steve Jobs, per inciso, all’epoca sulla cresta dell’onda e guru del capitalismo post-fordista) sviluppano capacità e sensibilità propriamente umane. Sono proprio queste capacità e sensibilità che inducono i robot ad una grande rivolta. Non è difficile, quindi, vedere nella figura del robot che si ribella il fantasma dell’alienazione, la paura profonda e quindi socializzata che una ribellione delle macchine (quindi degli uomini trasformati in macchine) minacci l’ordine e la pax capitalistica.

Westworld: la prima edizione di l, robot di Isaac Asimov, citato anche nella cover di Altrisogni n.4

La prima edizione di lo, robot di Isaac Asimov, citata anche nella cover di Altrisogni n.4.

Gli illustri precedenti degli anni ’80 ci parlano di un Occidente ossessionato dalla deregulation, che butta a mare alcuni decenni di politiche socialdemocratiche per lasciare liberi gli “animal spirits” del mercato, i quali finiscono per riportare indietro l’orologio di alcuni decenni in termini di diritti e libertà sindacali per chi lavora. In effetti, per poter consentire a una minoranza dell’umanità la prosecuzione di uno stile di vita al di sopra dei propri mezzi e di quelli del pianeta, si è dovuto ridurre al servaggio più o meno esplicito buona parte della popolazione mondiale. I robot sono gli operai della Foxconn, fabbrica cinese degli Iphone, che si suicidano in massa e alla fine si ribellano; sono i blue collar della working class americana, lasciati senza lavoro e senza protezioni, che mandano in soffita il liberismo dal volto umano di Hillary Clinton ed eleggono Donald Trump alla Casa Bianca; sono i giovani espropriati di futuro e stabilità che spingono per il cambiamento sociale in tutto l’Occidente.

Un poster di propaganda robot, presente in una espansione del videogame Borderlands.

Un poster di propaganda robot, presente in una espansione del videogame Borderlands.

Le storie di robot sono quindi, allo stesso tempo, un modo per le elite di esorcizzare la rivolta al sistema di sfruttamento, ma anche un modo per chi quelle storie consuma di stare dalla parte degli schiavi che si vogliono liberare. “Mettendo in scena” questo conflitto, gli sceneggiatori e i produttori di Hollywood allontanano dalle loro belle ville sul Sunset Boulevard o a Malibu lo spettro di una rivolta sociale.

Insomma, i robot siamo noi o, più precisamente, i robot incarnano il potenziale di conflittualità che alberga dentro di noi, quell’inquietudine che, da Freud in poi, attribuiamo d’ufficio all’inconscio, ma che è una forma sotterranea di resistenza all’ordine delle cose, allo Zeitgeist, alla Macchina e che, “inconsciamente”, finisce per essere rappresentato in quella cartina al tornasole che era il cinema e che, ora, sono le serie tv.

Westworld: un robot della serie TV

Un robot dalla serie TV Westworld.

Westworld chiude in qualche modo il cerchio: lo show ci pone senza dubbi dalla parte degli androidi, gli sconfitti, gli sfruttati, i rivoltosi, con tanto di monologo finale catartico da parte del demiurgo Ford (sarà un caso che il creatore del parco divertimenti Westworld porti lo stesso cognome di Henry Ford, l’inventore dell’industria seriale moderna e, quindi, dell’operaio-macchina?). In questo senso la serie tv Westworld conclude la parabola iniziata con il monologo di Rutger Hauer in Blade Runner, e riflette lo spirito dei tempi, la rinnovata voglia di insubordinazione al sistema che ormai serpeggia ovunque. Sarà interessante vedere se la seconda stagione dello show risulterà essere all’altezza delle premesse e capace di immaginare una via d’uscita dal ciclo inevitabile schiavitù-rivolta-punizione-ristabilimento dell’ordine. Ma forse non tocca a una serie tv spiegarci come ci si libera delle proprie catene.

 

Claudio Magliulo, scrittore per AltrisogniAutore ospite: Claudio Magliulo

È giornalista e vive all’estero, dove si occupa di comunicazione nel settore del no-profit. Ha iniziato a scrivere racconti a 13 anni e non ha mai smesso. È stato finalista in alcuni premi letterari, prevalentemente di poesia, e al momento ha un paio di romanzi nel cassetto.
Si è avvicinato alla fantascienza grazie ai vecchi Urania e all’edizione completa del Ciclo della Fondazione di Isaac Asimov. H.G. Wells, Aldous Huxley e Philip K. Dick sono tra le sue fonti d’ispirazione. Gli interessa il modo in cui immaginare altri mondi possibili o futuri consente di capire molto meglio il mondo in cui viviamo. La fantascienza è stata la sua prima passione letteraria, ma negli anni ha scritto un po’ di tutto.
Su Altrisogni ha pubblicato il racconto di fantascienza distopica “Furore” (Altrisogni Vol.3).

 

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