Posted by on 16 Giu, 2016 in Scrivere | 0 commenti

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Pier Paolo Pasolini - Scrivere un libro

In un saggio su Pierpaolo Pasolini, il filosofo e linguista Augusto Ponzio spiega che il grande artista romano si definiva scrittore anche quando scriveva articoli per i giornali, non solo quando si trattava di scrivere un libro. Dalla precisa prospettiva del suo mestiere, proprio in quanto scrittore e non giornalista, Pasolini offriva il suo personale punto di vista sulla vita sociale e politica dell’Italia nei primi anni Settanta. In riferimento alle stragi di cui era puntellato il nostro tessuto sociale in quegli anni, egli affermava di sapere chi fosse il vero responsabile e, precisava, lo sapeva essendo

“uno scrittore, un inventore di storie, un romanziere che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina i fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembravano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mestiere e dell’istinto del mio mestiere”1

Abbiamo a che fare con una certezza che, oggi, nessuno di noi metterebbe mai in dubbio, non perché Pasolini sapesse tutto ciò che accadeva in Italia con reale precisione e fondatezza (ovvero, con indizi e prove), ma perché egli era un vero e proprio scrittore, dotato oltre che di uno stile e di talento, anche di una propria visione del mondo.

 

Chi possiede una visione del mondo

Viene naturale pensare che una propria visione del mondo sia caratteristica di ogni scrittore, perché ogni scrittore tira fuori dal proprio sacco farina con la quale preparare pagnotte per tutti i palati e queste pagnotte le cucina con i processi creativi grazia ai quali riesce a scrivere un libro. In realtà le cose non stanno così, perché esistono scrittori e scribacchini, e segnare le differenze è, oggi, quanto mai necessario.

Lo scrittore possiede una visione del mondo, lo scribacchino stralci di vedute.

Lo scrittore sa avvicinare il mondo (dal quale siamo sempre globalmente esclusi) con una lettura particolare che poi propone ai lettori, lo scribacchino che intenda scrivere un libro, invece, produrrà piuttosto un patchwork di visioni altrui. Pensate alla differenza – per rimanere nell’ambito del fantastico – tra Tolkien, Lewis, Lovecraft, Howard, Rowling e le infinite torme di imitatori di ciascuno di essi, che non hanno fatto altro che produrre tele, magari vaste, usando materiali già elaborati da altri.

Per comprendere meglio come la visione del mondo differenzi gli scrittori dagli scribacchini, voglio citare un approfondimento di due sociologi, Rodney Stark e William Sims Bainbridge, circa la differenza principale tra religione e magia. Secondo loro, detta differenza consiste nell’ampiezza di “compensatori” offerti di fronte ai problemi degli uomini. La religione offre “compensatori generali” (cioè una visione del mondo in cui le domande che inquietano l’uomo trovano una risposta globale), mentre la magia propone piuttosto “compensatori specifici” (che vorrebbero risolvere i problemi uno per uno).2

Scrivere un libro - Raymond Carver, Il mestiere di scrivere (Einaudi, 2008) Potrà sembrare un discorso che c’entri poco con un tema quale “scrivere un libro” e con il “talento” di chi voglia farlo. Eppure, se ci pensiamo bene, questa definizione si adatta perfettamente alla distinzione che intercorre tra chi può essere considerato scrittore e chi scribacchino (senza per questo voler affermare, né in negativo né in positivo, che gli scrittori corrispondano al valore della religione e gli scribacchini al disvalore della magia).

Il grande scrittore, poeta e saggista statunitense Raymond Carver diceva qualcosa di simile.
In Il mestiere di scrivere sosteneva che:

“Ci sono scrittori che di talento ne hanno tanto […] ma un modo di vedere le cose originale e preciso e l’abilità di trovare il contesto giusto per esprimerlo, sono un’altra cosa. […] Ogni grande scrittore e anche semplicemente ogni bravo scrittore ricerca il mondo secondo le proprie specificazioni.
È qualcosa di simile allo stile, quello di cui sto parlando, ma non è solo questione di stile. È il tipo di inconfondibile e unica firma che lo scrittore lascia su qualsiasi cosa egli scriva. E ne fa il suo mondo e niente altro. È una delle cose che contraddistingue uno scrittore. E non è il talento. Di quello ce n’è anche troppo in giro. Ma uno scrittore che ha una maniera particolare di guardare le cose e riesce a dare espressione artistica alla sua maniera di guardare le cose, è uno scrittore che durerà per un pezzo.”3

 

Troppo talento in giro?

Sembrerebbe, perciò, che di talento ne circoli molto, il che è forse vero. Tuttavia, quando parliamo di talento, la mente dei più giovani va spesso a colpo sicuro verso una nozione che ha molto a che spartire con i talent show, i programmi che – per l’appunto – scoprono i talenti, con il conseguente rischio di considerare talentuoso chi è in grado di affermarsi tra gli altri.

Eppure, non c’è nulla di più asociale e asocializzante del talento. Nella società che tende all’omologazione (che sia per imitazione psicologica o per diritto, non cambia nulla), il talento rende differenti. Quando, poi, il talento è massiccio (ciò che davvero interessa a questo articolo), lo scrittore che ne è dotato viene normalmente tagliato fuori dal consesso del “mondo degli scrittori”, per lo meno fino a quando qualche evento non permette che tale dote gli venga riconosciuta. È solo in quel momento che il talento di uno scrittore può trasformarsi in un grande successo mediatico, e scrivere un libro, per lui, diventa il modo con cui far conoscere il proprio talento.

Il talento è qualcosa di intimo, è una dote che si lega alla capacità di usare la parola in maniera differente rispetto a tutti gli altri. Proprio questo è il motivo per cui, facilmente, lo scrittore talentuoso verrà tenuto a distanza: se un milione di lettori è abituato a sentir parlare di angeli in un determinato modo (giusto per fare un esempio, quello propinatoci dai paranormal romance), con quale probabilità uno scrittore che ha un’immagine valida e differente degli angeli riuscirà a scrivere un libro capace di farla apprezzare alla medesima vasta utenza?

Il talento va coltivato, è la varietà di caffè dall’aroma unico che, se la si lascia soffocare dalle altre piante o seccare per assenza di acqua e di adeguate cure, morirà. Perciò, può essere vero che là fuori ci sia molto talento (e sono convinto che in Italia ve ne sia davvero tanto!), ma che venga riconosciuto o che, per puntare meno in alto, riesca a giungere a qualcosa, è tutta un’altra faccenda.

 

Scrivere un libro: il talento si deve coltivare, lo stile si può migliorare

 

Lo stile si può migliorare

C’è un aspetto della scrittura su cui si può influire con l’ausilio della volontà, sia interna che esterna, ed è lo stile. Un requisito fondamentale per chi voglia scrivere un libro e fare della scrittura il proprio lavoro. Cosa intendo dire?

Il fiorire di scuole di scrittura creativa, spesso considerato fenomeno deleterio o criticabile, è reso possibile dall’enorme desiderio di narrarsi presente nella nostra società. Le scuole di scrittura creativa promettono qualcosa di tangibile, ovvero che è possibile lavorare su un aspetto della propria scrittura in modo tale da guadagnare un reale miglioramento.

Lo stile è il modo in cui si uniscono le parole sulla pagina, la via tramite la quale le parole si congiungono a formare la frase e le frasi si intersecano per dare vita al paragrafo, la vera unità fondamentale della narrazione. Questo “parametro” entra in gioco quando si tratta di comporre un racconto breve efficace, oppure di scrivere un libro, sia esso un saggio o un romanzo.

Sullo stile si può intervenire e l’intervento può essere esterno, se c’è qualcuno o qualcosa che ci insegna, e interno, quando siamo noi stessi a porre attenzione ai punti su cui migliorarci.

Lo stile è un atto volontario, è la scelta che effettuiamo e richiede una grande consapevolezza.

 

La consapevolezza, questa donna fraintesa

Riassumendo:

  • l’unico aspetto sul quale uno scrittore può lavorare in pieno assetto volontario è lo stile;
  • la visione del mondo è qualcosa che ci viene dalla vita;
  • il talento è un dono che la natura ci fa, iscritto nei geni che edificano la nostra interiorità.

Eppure, la consapevolezza ha a che fare con tutte e tre queste componenti, sebbene in misura differente: massima per lo stile, moderata per la visione del mondo e minima per il talento. 

La nostra attenzione a migliorarci e a predisporre la mente a tale miglioramento è più efficace sul breve periodo, motivo per cui lo stile è ciò che sommamente possiamo modificare.

In fin dei conti, però, cosa sarà mai questa consapevolezza?

Mi piace pensarla come una donna saggia, capace di far crescere un uomo: se il suo intervento sarà amorevole e non possessivo, troverà il modo di fargli superare le sue contrarietà, le sue opposizioni irragionevoli. Potrà smussare i suoi angoli per renderlo più gradevole innanzitutto a se stesso. Saprà, infine, far dialogare il maschio e la femmina che sono dentro ciascuno di noi, via principale verso la creatività. Ma questo, forse, è già un altro argomento.

 

Fabrizio Valenza

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